Beth Atiavila Mudaki. Per coloro che amano le belle storie
La rubrica Storytelling da Africa e resto del mondo si arricchisce di nuove storie. Dal Ghana di Zinse Agginie, il quale oggi vive negli USA, voliamo sino in Kenya, per incontrare Beth Atiavila Mudaki.
Beth è una storyteller e nel suo canale YouTube, The African Storyteller, parla di vita, yoga, viaggi, fitness, e tutti i bocconi succosi nel mezzo, come ama dire. Dopotutto, ci racconta, in virtù del semplice esistere, scriviamo una favola. Aggiungo che Beth lavora a livello internazionale come formatrice. Insegna letteratura inglese e allenamento al pensiero critico. È anche un’istruttrice di yoga e attualmente risiede in India. Si definisce una pensatrice, un’osservatrice, una studentessa della vita e per tutta la vita. È convinta che non esista un modo di vivere giusto o sbagliato, fintanto che si rimanga innocui per gli altri, e spesso anche le altre persone, nelle loro differenze, possono avere ragione. Ha viaggiato, vissuto e lavorato in molti Paesi e ha scoperto che c’è sempre qualcosa di profondo da imparare e qualcosa da insegnare.
Ho letto in rete che hai una notevole esperienza di insegnamento della lingua inglese in vari Paesi africani e anche in India. In che modo pensi abbia influito tale esperienza nel dedicarti allo storytelling?
Insegno letteratura inglese e pensiero critico da quindici anni e ho avuto la fortuna di aver vissuto e lavorato in diversi Paesi in Africa e nel mondo. Questo mi ha sicuramente sempre messo in una posizione in cui mi sento obbligata a spiegare, insegnare o correggere le persone su informazioni e idee sbagliate sul Kenya e sull’Africa nel suo insieme. Lo storytelling è stato sicuramente il mio modo principale per condividere chi sono, la mia cultura e le tradizioni. È più divertente e molto più rilassato della maggior parte delle discussioni che spesso si fanno quando si parla di “alterità”.
In fondo, l’insegnante è un po’ una storyteller, racconta delle “storie”? Quali sono le differenze?
Non c’è davvero una grande differenza tra i due, soprattutto per un’insegnante di lettere. Lo storytelling, tuttavia, possiede una certo tratto rilassato e non è molto orientato al risultato. È condividere con la speranza che qualcuno ascolti, si diverta e riceva qualcosa, al contrario dell’insegnamento in cui ti auguri che la maggior parte dei contenuti che condividi venga conservata dall’ascoltatore. La pressione per insegnare c’è perché alla fine è un lavoro che richiede risultati di qualche tipo (non esclusivamente accademico) ma la narrazione è rilassata e più divertente.
Come viene visto lo storytelling in Kenya? E cosa pensano in tuoi cari, amici e colleghi della tua iniziativa?
Lo storytelling è culturalmente inculcato nella cultura keniota. Insegniamo e apprendiamo le nostre tradizioni e culture oralmente ed è stato il modo in cui trasmettiamo la conoscenza di generazione in generazione. C’è sempre la possibilità di raccontare o ascoltare storie a casa e fuori. Le persone sono piuttosto socievoli e spesso mi ritrovo ad ascoltare o condividere storie con dei quasi perfetti sconosciuti in alcune occasioni. Sono abbastanza loquace e la mia famiglia e i miei amici non sono sorpresi da nessuno dei miei impegni che coinvolgono la narrazione. Almeno per quanto ne so.
I tuoi video sono tutti davvero interessanti e divertenti. Per questo vorrei chiederti di parlarmi di alcune delle storie che mi hanno maggiormente colpito. Ci racconti qualcosa del tuo incontro insieme alla tua famiglia con i Maasai?
È stata un’esperienza straordinaria per me e mio marito, ma soprattutto per i miei figli. Dicono che puoi comprare molte cose ma le esperienze non hanno prezzo. La gioia di incontrare delle persone di questa tribù africana e conoscere le loro tradizioni tramandate fino ad oggi è stata incommensurabile. Non solo possedevano quel genuino calore africano, ma erano anche felici di vivere come avevano fatto i loro antenati per tanto tempo. È qualcosa di onesto, divertente e semplice. Ci è davvero piaciuto!
Credo che la poesia The Empowered Woman, a cui hai dedicato un tuo video, sia proprio bella. Come vedi dal tuo punto di vista il ruolo della donna oggi in Kenya? E in che modo raccontare storie può dare un contributo efficace nella responsabilizzazione delle donne?
Questa è una domanda davvero complicata. La donna keniota si trovata coinvolta in una tempesta perfetta tra una fondazione patriarcale e una nuova voce e potere. La donna keniota è sempre stata forte, voglio dire, molto forte. Sono il prodotto di una madre che ha cresciuto cinque figli da sola per la maggior parte e quindi la mia impressione è sempre stata che le donne keniote siano forti. Tuttavia, le tradizioni, le norme sociali, le pratiche religiose e persino la legge sono sempre state ingiuste nei confronti delle donne.
Penso sempre che le mie storie siano per quella ragazza del villaggio africano con gli occhi spalancati, desiderosa, piena di sogni e scalza che aveva bisogno di qualcuno che le mostrasse che il mondo è anche la sua ostrica e che si può osare esistere senza paura o riserve. Penso che le mie storie siano responsabilizzanti e incoraggianti e considero un punto essere positiva senza essere pretenzioso e trasmettere tutto ciò che imparo in un modo che mostri alle mie amiche che possiamo emergere e ottenere ciò di cui abbiamo bisogno o che vogliamo. La donna keniota è resiliente e tenace e sono fiduciosa che tra non molto saremo una forza con cui fare i conti.
Domanda squisitamente personale riguardo a un altro dei tuoi video: ma quanto è impegnativo curare i dreadlocks? (da ragazzo li ho portati per sei mesi al massimo :) )
I dreadlocks hanno bisogno di un impegno pigro. Ah ah! Ci sono giorni in cui puoi semplicemente lasciare che si impicchino o che facciano ciò che vogliono, e ci sono giorni in cui vuoi controllarli ed evocare forme e idee da loro per esprimere quello che vuoi che facciano, il ché richiede cura e impegno. A essere perfettamente oneste, è facile prendersi cura dei dreadlocks, ma questo non significa che debbano essere trascurati e trasandati. Dipende anche in gran parte dal motivo per cui si coltivano: è un omaggio alla religione o alla cultura? È un segno di ribellione o di appartenenza? È una dichiarazione legata alla moda? Tutti questi motivi richiedono diversi livelli di cura. È divertente sapere che ci hai provato personalmente ma ti sei arreso così presto!
In un’altra clip affronti un tema delicato, come quello del parlare di sesso con gli adolescenti. Qual è la tua esperienza a riguardo anche come insegnante?
Nella maggior parte delle culture, inclusa la mia, il sesso è un tabù. Le persone semplicemente si rifiutano di parlarne. Quello che ho scoperto è che se non dai alle persone, in particolare agli adolescenti, il linguaggio con cui parlare di sesso, finiranno per esplorare ciecamente, imparando un modo tossico di comunicare le loro domande, esperienze e paure o, peggio di tutto, evitando di dirti quando sono sotto costrizione in questioni legate al sesso. Fa parte del mio lavoro di educatrice e soprattutto di narratrice cercare di colmare questo divario irragionevole nel linguaggio sessuale e nella comunicazione. In un contesto scolastico tradizionale, ci si può facilmente trovare nei guai nel parlare di sesso e quindi la burocrazia è sempre un blocco, ma ogni volta che posso, ne parlo, soprattutto alle ragazze, in modo appropriato ed entro i limiti previsti.
Una delle storie che mi ha colpito si intitola How to TAME your Blackness? A Survival guide to navigating the world Black! Cosa vuol dire essere e sentirti una donna nera, oggi, nel mondo?
Essere neri è un’esperienza unica che varia da persona a persona, da Paese a Paese e persino da continente a continente. In qualche modo, come persone di colore, ci è stato sistematicamente insegnato a pensare meno riguardo a noi stessi. Pensala in questo modo, tra tutti, il nero è stato per molti versi considerato “inferiore”. Di tutti i sessi, il femminile è stato considerato il più debole. Di tutti i continenti, l’Africa è stata considerata come la meno “sviluppata” con molto poco da offrire. Ora, immagina di essere una donna nera, africana: condannata a restare sul fondo del barile della qualità umana. Riuscite a immaginare il fardello che deriva da tutto ciò?
Quando viaggi per il mondo per fare un tour, vivere o lavorare, a volte senti il bisogno di confonderti tra la gente, di essere meno te stessa, essere più timida e più orientata ad andare d’accordo, solo per poter accedere alle opportunità più elementari disponibili. Spesso mi trovo a dover essere dieci volte più qualificata dei miei omologhi solo per ottenere l’approvazione per alcune cose. L’idea sbagliata su di noi, l’odio a volte cieco, i presupposti e la cattiva educazione su chi siamo e cosa portiamo in dote, rendono il mondo uno spazio insidioso in cui navigare come neri. Le cose vanno meglio ora, dicono, ma abbiamo ancora molta strada da fare per pareggiare il campo di gioco. Tutto quello che posso dire è che ci vuole forza, resilienza e coraggio per muoversi nel mondo nero. Spero che le mie storie possano toccare o insegnare a qualcuno qualcosa che ci renderà le cose più facili.
Altro quesito di rito, in questo periodo, riguarda l’influenza del Covid-19 nelle nostre vite. Com’è andata per te, finora?
Il Covid-19 è stata un’esperienza difficile per me e la mia famiglia e anche per le mie attività: come insegnante, come istruttrice di yoga e come creatura sociale che gode delle interazioni che creano una casa per le mie storie. La mia famiglia e io abbiamo dovuto spostarci avanti e indietro dall’India al Kenya un paio di volte per paura e restrizioni, ma penso che la parte più triste sia stata insegnare online per un anno intero. È estremamente difficile per me come adulto e insegnante, quindi non riesco nemmeno a immaginare la tortura che deve essere per i nostri giovani studenti.
Il mio datore di lavoro è stato così gentile da mantenere tutti i termini del mio contratto nonostante le difficoltà, ma la maggior parte delle persone che conosco non può dire lo stesso. Questo ha creato un notevole livello di difficoltà. La pazienza umana è stata portata al massimo e penso che se non fosse per tutti gli spostamenti e l’esaurimento mentale che ho provato, alcune delle mie buone vecchie esperienze di prima mano potrebbero risultare utili al prossimo.
Ultima domanda, consueta in questo ciclo di interviste: quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Altra domanda complessa, ah ah! Ho intenzione di continuare a lavorare a livello internazionale come insegnante per un bel po’. Il mio sogno, o almeno una parte di esso, è che mentre racconto l’Africa e le sue tante storie nel mondo, spero di poter riportare indietro un po’ di yoga in Africa. La stessa storia dello yoga risuona abbastanza profondamente nella tradizione africana e penso che sarebbe un matrimonio così bello. Spero anche di continuare a viaggiare e di continuare a raccogliere esperienze che posso barattare avanti e indietro tra l’Africa, la madrepatria e il mondo. Se tutto va bene, forse mi piacerebbe una pubblicazione delle mie storie, magari non troppo lontano nel futuro.✎
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