Doris Lessing allo specchio

Sotto la pelle. La mia autobiografia (1919-1962)

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CATEGORIE: Biografia e Autobiografia  / Libreria  / Saggistica

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  • Doris Lessing, Afrologist

Sotto la pelle. La mia autobiografia (1919-1962), Doris Lessing, prima edizione in un unico volume, Universale Economica Feltrinelli,  2019, traduzione dall’inglese di Maria Antonietta Saracino (I volume) e Andrea Buzzi ( II volume).

Afrologist è lieto di accoglier la nuova collaboratrice Daria Forlenza nella redazione! Nel suo primo pezzo, Daria parla di un’autrice a lei cara, Doris Lessing, soggetto stesso dei suoi studi accademici svolti nel settore della letteratura post-coloniale e delle scritture della Diaspora e delle Migrazioni.

Per Daria, la letteratura è un laboratorio esperienziale individuale che ci consente di rivisitare la nostra identità e di vivere più identità attraverso le parole e le idee degli scrittori e delle scrittrici. Nelle scritture della Diaspora questo concetto è più che mai presente.

In questo articolo, ripercorre la vita e le tappe salienti dell’autobiografia di Doris Lessing, scrittrice anglosassone, nata e cresciuta nella Rhodesia del Sud (odierno Zimbabwe) ai tempi del colonialismo. I libri di Doris Lessing sono una testimonianza reale di come la letteratura abbia il potere di cambiare l’idea che possiamo avere delle culture, sia di quelle autoctone che straniere, e di trasmettere un “sapere” universale cosmopolita.

Parlare di sé è una sfida contro il Tempo e la Memoria. Lo sapeva bene Doris Lessing, la grande scrittrice del 1900, insignita del Premio Nobel per la letteratura nel 2007 che ha lasciato un vasto corpus letterario. La nuova autobiografia edita da Feltrinelli è completa e comprende sia il I volume Sotto la pelle (1919 – 1949) che il II volume Camminando nell’Ombra (1949 – 1962).

I due volumi che raccolgono l’autobiografia di Doris Lessing sono un’analisi vera e audace delle emozioni e dei sentimenti vissuti, senza pretesa di raccontare le cose “come stanno” perché come afferma Doris:

«È impossibile mettersi a scrivere di sé senza che alcuni interrogativi retorici tra i più tediosi reclamino attenzione. Prima fra tutti c’è la nostra vecchia amica, la Verità. La Verità… quanta ne va detta e quanta no? Sembra assodato che sia questo il primo problema di chi si fa cronista di se stesso e il discredito è in agguato in entrambi i casi.»

L’autrice è vissuta fra due mondi, quello africano e quello europeo e in ogni pagina si legge la dovizia e l’attenzione nel raccontare i dettagli della prima parte della sua vita vissuta nella Rhodesia del Sud (attuale Zimbabwe); Doris ripercorre con la memoria alcuni episodi riguardanti l’incontro-scontro fra i bianchi colonizzatori e le popolazioni indigene, i rapporti fra la società dei bianchi e quella dei neri e soprattutto racconta dell’incanto del bush africano, luogo al quale resterà sempre legata.

Doris non parla solo di sé ma di quello che la circondava, dei contesti, delle persone accanto a lei e si pone la questione di essere “corretta” verso gli altri, di raccontare ciò che per lei ha avuto significato ma senza “colorare” la memoria di falsi ricordi. Un tentativo autobiografico coraggioso, quasi sperimentale, che esce dagli schemi delle autobiografie classiche e che Doris scrive mettendosi “allo specchio”, faccia a faccia con il suo Io, andando a raccontare anche le cose più difficili da dire e da scrivere. In primis, Doris racconta il difficile e doloroso rapporto con la madre attraverso i ricordi d’infanzia; un’infanzia vissuta in tre paesi diversi, la Persia (Iran), la Rhodesia del Sud e infine l’Inghilterra. Paesi legati da un sottile filo di memoria che la porterà dall’infanzia fino all’età adulta, età nella quale con la maturità, le appariranno più chiari certi atteggiamenti materni:

 «Nel mio caso, come mia madre con tono spensierato mi raccontò più e più volte, per i primi dieci mesi di vita fui lasciata soffrire la fame, poiché dal momento che non era in grado di allattarmi lei stessa, essendo fisicamente troppo esaurita dopo la guerra, mi dava latte di mucca diluito secondo le abitudini inglesi, ma il latte di mucca in Persia aveva appena la metà della capacità nutritiva del latte di mucca in Inghilterra. “Non facevi che strillare giorno e notte”. Può darsi che fosse così, però nelle fotografie […] ho un’aria abbastanza paffuta e allegra. E allora perché mia madre sentiva il bisogno di raccontare alla figlioletta, così spesso e con tanto piacere, che era lasciata morire di fame dalla propria madre per tutta l’infanzia? Credo che in questo abbia avuto un peso determinante la sua capacità di drammatizzare […].»

Il rapporto con la madre è al centro di numerosi libri della Lessing come nel I Volume nel quale Doris, parlando delle difficoltà e delle ferite emotive che porta con sé, parla anche della madre in modo positivo, cercando di ricucirne un’immagine “corretta”, giusta; e così la descrive anche come una persona “laboriosa”, una “brava persona”, “leale”, «lei che non aveva mai conosciuto l’amore da bambina e voleva essere sicura che noi non ne fossimo privati».

Doris racconta della famiglia, della sua infanzia itinerante e del suo rapporto con i luoghi e le persone che hanno rappresentato una parte fondamentale della sua vita attraverso il filtro delle sue emozioni. La percezione che si ha dei propri ricordi è un’importante fetta della Verità ma che non comprende tutte le facce della verità poiché ognuno fa esperienze diverse nel corso del proprio cammino ed è difficile essere corretti verso tutti, come ribadisce Doris:

«Dire la Verità su se stessi, sempre che ci si riesca, è una cosa, ma che fare quando si tratta di altre persone? Posso facilmente scrivere della mia vita fino all’anno in cui ho lasciato la Rhodesia, il 1949, perché sono poche le persone rimaste che potrebbero essere ferite da quello che racconto.»

Il I volume è un libro ricco di spunti di riflessione che si conclude con l’arrivo a Londra nel 1949 e l’impatto con il mondo occidentale; un mondo al quale Doris Lessing inizia ad abituarsi gradualmente, vivendo “sulla sua pelle” e “camminando nell’ombra” seguendo le gioie e le delusioni degli anni ’50 e ’60,  le lotte del partito comunista e dei movimenti per l’emancipazione femminile; appare chiaro il suo sentimento quasi di disagio nell’impatto con l’Inghilterra moderna, la sua distanza dal mondo occidentale così come si presentava poiché nella sua memoria erano e saranno sempre distinti e presenti i ricordi della terra africana che la porteranno ad analizzare sotto altre prospettive i rapporti fra bianchi e neri e a confrontarli con la realtà alla quale era stata da sempre abituata.

Doris Lessing lascia una vastissima eredità letteraria e la nuova edizione completa dei due volumi della sua autobiografia ripercorre altre tappe salienti della sua vita sebbene l’esilio dalla terra in cui è cresciuta e l’ascesa del regime nero in Zimbabwe sarà argomento affrontato successivamente in African Laughter (Sorriso Africano. Quattro visite nello Zimbabwe, edito sempre da Feltrinelli).

Nel raccontare di sé, Doris ripercorre la nascita dei libri più significativi fino agli anni ’60 fra cui The Grass Is Singing (L’Erba Canta, edito da La Tartaruga con traduzione della stessa Maria Antonietta Saracino), pubblicato negli anni ’50, in cui affronta le tematiche del conflitto razziale; The Golden Notebook (Il Taccuino d’Oro, Feltrinelli), libro più acclamato in assoluto, considerato rivoluzionario a tal punto da essere preso come “Bibbia” dalle femministe degli anni ’60:

«Stranissima esistenza quella del Il taccuino d’oro. Incontro donne che dicono “Ho letto Il taccuino d’oro negli anni Sessanta. Mi ha cambiato la vita. L’hanno letto mia figlia e ora mia nipote.” Questa faccenda di un libro che ti cambia la vita. Può significare soltanto che uno è pronto a cambiare e il libro fa pendere il piatto dalla bilancia. […] A volte sento dire che il libro è stato incluso in qualche corso di storia o di politica e la cosa mi fa piacere, perché dopo tutto fu lì che cominciai, volevo scrivere una cronaca dei tempi. E se il libro dura, è lì che bisogna ricercarne il valore. In effetti penso che, a prescindere da ciò che mi riuscì e ciò in cui fallì, si tratti di un resoconto onesto, veritiero e affidabile di come eravamo tutti quanti a quei tempi.»

Come lei stessa afferma, scrivere di sé risulta complicato e a volte quasi impossibile, perché l’autobiografia può essere considerata un racconto “provvisorio” di come ci si vede in un determinato momento della Vita ma nel suo caso Doris lascia una testimonianza autobiografica che diviene anche testimonianza storico-politica del Novecento.✎

Incipit

Doris Lessing, Afrologist

«Dire la verità oppure non dirla e quanta dirne, è un problema minore rispetto a quello del cambiamento di prospettiva, perché a seconda delle diverse fasi si tende a vedere la propria vita con occhi diversi, un po’ come quando ci si inerpica su per una montagna con il panorama che cambia a ogni curva del sentiero. Se avessi scritto questo stesso libro a trent’anni, ne sarebbe venuto fuori un documento alquanto bellicoso. A quaranta si sarebbe trasformato in un gemito di disperazione e di colpa: o mio Dio, come ho potuto fare questo o quello? Oggi ripenso a quella bambina, a quella ragazza, a quella giovane donna, con una curiosità sempre più distaccata. Ogni tanto si vedono anziani sbirciare nel loro passato. Perché? si domandano. Come è potuta succedere la tal cosa? Io cerco di vedere le diverse me stessa del passato così come farebbe un estraneo, poi mi calo di nuovo in una di quelle identità, e di colpo mi trovo sommersa da una lotta accanita di emozioni, giustificate da riflessioni e da idee che oggi giudico sbagliate.»

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