Emigrare, partire per poi tornare
Americanah ✏ Chimamanda Ngozi Adichie
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie, Einaudi, 2014, traduzione dall’inglese di Andrea Sirotti.
Non tutte le migrazioni maturano e si concludono con la voglia di restare nel luogo in cui si è scelto di vivere. Emigrare vuol dire partire per scoprire nuovi posti ma vuol dire anche partire per riconoscere il valore delle proprie origini, per dare nuova vita alla nostra identità.
Lo sa bene Ifemelu, la protagonista del romanzo Americanah di Chimamanda Ngozi Adichie (Einaudi, 2014). Ifemelu è una ragazza di origini nigeriane che ha vinto una borsa di studio all’università di Princeton dove si trasferisce per studiare e trascorrere alcuni anni della sua vita.
In questo arco di tempo, durato almeno dieci anni, Ifemelu impara a convivere con le forme di razzismo verso i Neri Americani e Non Americani* e decide di raccogliere le sue riflessioni in un blog, diventato molto popolare fra studenti e amici, dal nome “Razzabuglio, o varie osservazioni sui Neri Americani (un tempo noti come negri) da parte di una Nera Non Americana”.
È in questo blog che la capacità narrativa della Adichie di raccontare ciò che è invisibile all’occhio umano come i sentimenti e le emozioni, prende forma; tramite Ifemelu, la Adichie ci racconta con irriverenza e coraggio che il razzismo ancora oggi, nell’America contemporanea, esiste sebbene non sia così palese come quando si parlava di “razza”, e nel testo ricorrono sempre più inflessioni linguistiche a voler rimarcare l’importanza delle parole “nero”, “negro”, “bianco” e delle contraddizioni della società in cui vive. Un post del blog di Ifemelu cita:
«In America il razzismo esiste ancora, ma non ci sono più i razzisti. I razzisti sono cose del passato. I razzisti sono bianchi cattivi dalle labbra strette che si vedono nei film sull’era dei diritti civili. Ecco il punto: il modo di manifestarsi del razzismo è cambiato, ma la lingua no. Se non hai linciato nessuno, non puoi essere chiamato razzista. Qualcuno dovrebbe avere il coraggio di dire che i razzisti non sono dei mostri. Sono persone con famiglie amorevoli, gente normale che paga le tasse. Bisognerebbe dare a qualcuno il compito di decidere chi è razzista e chi no. O forse di rottamare la parola “razzista”. Di trovare qualcosa di nuovo. Come, ad esempio, “sindrome da disordine razziale”. E potremmo avere delle gradazioni diverse per chi ne soffre: lieve, media e acuta.»
Americanah non è solo incentrato sulla vita di Ifemelu e della sua attività di denuncia e osservazione; Americanah è un intreccio di vite, della vita di Ifemelu e Obinze, il suo primo amore, anche lui di origini nigeriane, il quale decide come lei di emigrare, ma in Inghilterra.
Le storie di Ifemelu e Obinze si intersecano nel corso del romanzo, incentrate sempre sulla difficoltà di integrazione e di interazione con il nuovo contesto, mettendo in risalto la solitudine dei due personaggi: loro due neri, in un mondo di bianchi. A poco serve frequentare persone simili, africane perché i Neri d’America, come scoprirà Ifemelu sono “diversi” dai Neri non d’America:
«Quant’è che sei in America?
Ifemelu prese tempo, rimettendo il cellulare in borsa. Una domanda simile le era stata fatta alcuni anni prima, al matrimonio di un’amica di zia Uju, e lei aveva risposto due anni, il che era vero, ma dall’aria di scherno sul viso del nigeriano aveva capito che per aggiudicarsi la considerazione dei nigeriani in America, degli africani in America e in definitiva di tutti gli immigrati in America, aveva bisogno di più anni.»
La storia d’amore interrotta troppo presto fra Ifemelu e Obinze tormenterà l’animo di lei a lungo. Ifemelu sarà mossa da sentimenti estremamente contradditori: in dieci anni, sentirà sempre il bisogno di colmare la solitudine che un amore conclusosi in fretta e una partenza verso un nuovo Paese le ha lasciato dentro, e sarà sempre combattuta se restare a Princeton e affrontare quella solitudine cercando di affermare la sua identità di nera “Non Americana” oppure ritornare a Lagos, in Nigeria, riprendere le fila di un discorso interrotto tanti anni prima, e riabbracciare le sue origini.
Ifemelu deciderà infine di tornare a Lagos, andando contro il buon senso e i consigli di tutti; lì in Nigeria appena rientrata, l’impatto con la vista di Lagos, il caos della città, «degli ambulanti sudati che correvano dietro le macchine, gli autobus gialli pieni di membra pressate», la sconvolgono e Ifemelu si chiede: «Era sempre stata così o era completamente cambiata durante la sua assenza?»; la sua amica Ranyiundo la chiama e la riconosce come “Americanah” con la “h” così come vengono chiamati «i nigeriani che partono per l’America»:
«Americanah! – Ranyiundo la sfotteva spesso – guardi le cose con occhi americani. Ma il problema è che non sei nemmeno una vera americanah. Se almeno avessi l’accento americano potremmo tollerare le tue lagne!»
Raccontare di chi resta e di chi decide di partire e poi tornare lì dove tutto è nato in Nigeria, è una scelta che la Adichie fa per portare alla luce una contro-narrazione migrante. Non solo Ifemelu parte, va a Princeton, vive i suoi anni universitari, appassionata e attenta ai dettagli, scrivendo nel suo blog dei pregiudizi che vive sulla sua pelle, ma prende anche un’importante decisione: rientrare in Nigeria. Il ritorno nel Paese di origine viene spesso vissuto nelle storie migranti come una sconfitta, un “non sono riuscita/o a integrarmi” ma in questo romanzo, si evince il bisogno di affermare che l’identità non è un costrutto monolitico ma è l’insieme del passato, del presente e del futuro di una persona. Si esprime il sentimento di appartenenza verso le proprie radici che coinvolge più personaggi connessi da un sottile filo invisibile e che vivono distanti affrontando problematiche simili; sarà infine l’amore a dettare il bisogno di ricollegarsi alle radici, a essere determinante nel rafforzare il legame di Ifemelu con le sue origini.
Nel romanzo sono visibili tre concetti che si intersecano dando vita alla trama: il tema della migrazione, dell’identità etnica e delle importanti sfide identitarie che hanno affrontato e che affrontano gli africani negli Stati Uniti. Il ritorno di Ifemelu in Nigeria può infatti essere letto come un richiamo allo sviluppo di una “coscienza africana della Diaspora”, e un modo di rafforzare il senso identitario della black community nel mondo. Per approfondimenti su questi concetti, consiglio la lettura del mio ultimo blogpost Reading the novel Americanah by Chimamanda Ngozi Adichie: An intersectional analysis, scritto per l’Institute of Modern Languages Research in occasione della conferenza A New ‘Feminist’ Novel? Popular Narratives and the Pleasures of Reading.✎
*Maiuscole dell’editore/autrice
Incipit
«Princeton, d’estate, non aveva odore, e anche se a Ifemelu piacevano la verde tranquillità dei tanti alberi, le strade pulite e i palazzi imponenti, i negozi un filo troppo cari e la quieta, persistente aria di meritata grazia, era proprio questo, l’assenza di odore, ad attirarla di più, forse perché le altre città americane che conosceva bene avevano tutte un odore ben distinto. Philadelphia aveva l’aroma muffito della storia. New Haven sapeva di abbandono. Baltimora puzzava di salamoia e Brooklyn d’immondizia scaldata al sole. Ma Princeton non aveva odore. Lì le piaceva respirare a pieni polmoni.»
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