La ladra di parole: la Nigeria di Adunni raccontata da Abi Daré

La ladra di parole ✏ Abi Daré

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CATEGORIE: Libreria  / Narrativa  / Romanzo

Tempo di lettura: 7 minuti

  • ladra parole abi daré, Afrologist

La ladra di parole, Abi Daré, Editrice Nord, 2021, traduzione dall’inglese di Elisa Banfi.

La ladra di parole è il romanzo scritto da Abi Daré che narra la vicenda di una giovane ragazza, Adunni, nella sua Nigeria, tra il 2014 e il 2015. Secondo me, però, questo libro è molto di più e proverò a raccontare tutta la complessità che mi ha trasmesso, sperando di riuscire a rendergli giustizia.

Innanzitutto, cosa vuol dire essere una “ladra di parole”? È stata questa la domanda che mi sono fatta quando è stata annunciata l’uscita in Italia del romanzo. Ero incuriosita dal fatto che una persona potesse essere definita in questo modo. Anche perché, dal mio punto di vista, la protagonista, nonché narratrice è tante cose, meno che una ladra di parole. E, onestamente, è stato proprio quando ho realizzato che tipo di personaggio fosse quello di Adunni che la lettura mi ha assorbita ancora di più.

«”Aspetta, Adunni! Che colore di rossetto porto? Rosso come sposina o rosa come raga…”
“Porta un rossetto nero”, mi dico da sola, appena che svolto dietro l’angolo. “Nero come un funerale!”
»

La ladra di parole è il romanzo d’esordio di Abi Daré, scrittrice nigeriana cresciuta a Lagos, e che da diciotto anni vive in Inghilterra. Il titolo scelto per la traduzione italiana è certamente d’impatto e, come detto poco sopra, è stata una delle prime cose che mi ha attirata verso quest’opera. L’originale, però, è decisamente più affine con la narrazione e con tutto ciò che accade tra le pagine di questo libro. In inglese, infatti, questo romanzo si intitola The girl with the louding voice, letteralmente “La ragazza dalla voce forte”. Un titolo che riesce a dire molto della sua protagonista, in poche parole, e cui si ritrovano anche riferimenti nel corso della lettura.

In effetti, la voce narrante di questo romanzo è quella di Adunni, una ragazzina di appena quattordici anni di un piccolo villaggio in Nigeria, Ikati, che, sin da subito, appare come una vera e propria eroina. Tanto che, molte volte, nell’andare avanti con la vicenda narrata, mi sono dimenticata la reale età della sua protagonista. Quattordici anni sono pochi per sposarsi. Come lo sono anche per rimanere incinta e dare eredi al proprio marito, ovviamente di molto più anziano. E altrettanto per riuscire ad affrancarsi da due famiglie, quella di origine e quella acquisita per matrimonio, ma è quello che, di fatto, fa Adunni.

«Vado via da Ikati.
È quello che volevo da tutta la mia vita, andare via da questo posto e vedere com’è il mondo più fuori, ma non così. Non seguita da un cattivo nome, Non come una persona che tutto il villaggio la cerca perché crede che ho ammazzato una donna.»

Quello che colpisce nel romanzo di Abi Daré, è ovviamente la tempra e la decisione del personaggio di Adunni nel perseguire i suoi obiettivi. Un qualcosa che, si scoprirà a poche pagine dall’inizio della lettura, le deriva dagli insegnamenti della madre, morta qualche tempo prima dell’inizio delle vicende narrate in questo romanzo, e che potremmo definire in qualche modo causa scatenante.

Scopriamo, infatti, che è stata proprio lei ad averle raccomandato di studiare, di crescere anche dal punto di vista culturale per non rimanere intrappolata in una vita decisa per lei, ma non da lei. Per me, è questo ciò che dimostra in quale senso la sua voce sia potente tanto da risuonare al di sopra di tutto: la quattordicenne Adunni non si darà mai per vinta, nemmeno quando tutto intorno a lei sembrerà così sgretolato, senza punti di riferimento. Anche quando le poche persone dalla sua parte sembreranno vacillare. Anzi, soprattutto in quel momento lei continuerà a puntare con ferma decisione ai suoi obiettivi. Come si legge in questo passaggio:

«E poi ringrazio che, anche se Mr Kola non è tornato coi miei soldi, però almeno non sono dentro una cassa nella terra, che la terra mi fa da coperta e da cuscino. Prego per il nuovo anno del 2015 che arriva tra poco: che è un anno bello e che sono felice, perché mi prendono a scuola.»

Non solo. Questo è uno di quei pezzi del romanzo in cui è chiaro quali sono le priorità di Adunni. Non le importa che qualcuno non abbia rispettato dei patti con lei, l’importante è che, alla prima occasione, lei possa essere effettivamente ammessa alla scuola che vuole frequentare, quella che le è utile per costruirsi il futuro che vuole lei per lei stessa. E poi c’è la sua passione sfrenata per l’imparare. La quattordicenne, infatti, fa sempre molte domande per capire di più e meglio, anche quando la situazione imporrebbe il silenzio per prudenza, e cerca costantemente occasioni di apprendimento. Da un certo punto in poi, quindi, anche il lettore inizia a imparare con lei, che si cimenta nella lettura di un libro che racconta diversi fatti relativi alla nazione in cui si svolge la storia, la Nigeria, e di cui l’autrice riporta parti all’inizio di alcuni capitoli.

«Fatto: Con più di 250 etnie, la Nigeria offre una grande varietà di cibi. Tra i più apprezzati ci sono il riso jollof, spiedini di carne pepata alla griglia chiamati suya, e le akara, deliziose polpette di fagioli.»

Il tema dell’istruzione e dell’apprendimento è un fil rouge che corre lungo tutta la narrazione. Anche perché, come si realizza fin dalla prima riga di questo romanzo, la quattordicenne Adunni si esprime in un inglese approssimativo, con parole e tempi verbali storpiati che, anche nella traduzione italiana, vengono riportati con un italiano sgrammaticato. La sua sete di conoscenza, quindi, è ben comprensibile da parte di chi legge che, come chi si mette dalla sua parte, non può fare a meno di tifare per l’emancipazione di Adunni.

Adunni è una ladra di parole che, in realtà, prende in prestito quelle di chi le insegna a parlare bene e a prepararsi all’ammissione a scuola. Al tempo stesso, poi, si tratta di una ladra di parole che non potrà far altro che lasciarvi lì, a non poter posare il libro, a non poter smettere di leggerlo, per la grande voglia di sapere come andrà a finire, se la giovane ce la farà, se la sua emancipazione potrà divenire realtà, e se la sua vicenda potrà essere un modo per segnare un cambio di rotta rispetto alla tradizione che vuole giovani spose bambine, non scolarizzate, a dare eredi a mariti di molto più anziani di loro. Una tradizione di cui spesso sono le stesse ragazzine a essere le prime promotrici:

«Enitan sospira, sembra che è stufa di me che faccio tante storie. “Morufu è ricco. Pensa a te e alla tua famiglia. Cosa vuoi ancora dalla vita, se hai un bravo marito?”
“Ma non lo sai che ha già due mogli? E quattro figlie?”
“E allora? Non fa gnente!” Ride, Enitan. “Sei fortunata che ti sposi. Devi ringraziare Dio! È una bella cosa, smetti di piangere per gnente.”»

Però non è propriamente per niente che piange Adunni perché, come si legge subito dopo questo breve scambio, lei ha un’altra idea di futuro rispetto alla sua amica:

«“Morufu non mi aiuta a finire la scuola.” Ho il cuore così pieno che le lacrime mi traboccano sulla faccia. “Lui a scuola non c’è andata. E, se io non ci vado, come faccio a trovare il lavoro e guadagnare i soldi? Come faccio a trovare una voce che la sentono forte?”»

Da un lato, si tratta di uno di quei passaggi che lasciano chi legge senza parole per la crudezza e lucidità con cui, tanto un punto di vista quanto l’altro, vengono difesi. Dall’altro, si tratta dell’ennesimo passo che mi ha fatta soffermare a pensare all’età della protagonista. Perché quattordici anni sono pochi, ma ad Adunni sono sufficienti per riuscire a capire la grande correlazione tra un buon livello di istruzione e un futuro roseo, tanto da impegnarsi con tutta se stessa, anche a rischio della sua stessa vita, per ottenerlo. Vi consiglio caldamente di leggere questo romanzo, per una lettura che molte volte potrà apparirvi tosta, ma che sarà certamente d’ispirazione, proprio come lo è l’intervista all’autrice, Abi Daré, fatta da Il Libraio.

Non mi resta che dirvi buon ascolto, buona lettura e grazie per aver letto fino a qui!

Incipit

ladra parole abi daré, Afrologist

«Quella mattina lì il papà mi chiama, che mi vuole dentro al parlour.
Sta seduto nel divano senza cuscino e mi guarda. Il papà c’ha un modo strano di guardarmi. Sembra che me le vuole dare senza nessun motivo, o che ho le guance piene di merda e, se apro la bocca per parlare, dopo puzza tutto.
“Sah?” gli dico, e vado giù in ginocchio con le mani nella schiena. “Mi chiamavi?”
“Vieni qua.”
Lo so che mi deve dire qualcosa di brutto. Lo vedo dentro ai suoi occhi: sono opachi come un sasso marrone restato al sole caldo troppo tempo. Ce li ha uguali a tre anni fa, quando ha detto che dovevo smettere di andare a scuola. Ero già la più grande della classe e gli altri bambini mi chiamavano “Aunty”. Lo dico per davvero: il giorno che ho smesso la scuola e il giorno che è morta la mia mamma sono i più brutti della mia vita.»

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