La stagione delle prugne: il romanzo della Storia dimenticata

La stagione delle prugne ✏ Patrice Nganang

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CATEGORIE: Libreria  / Narrativa  / Romanzo

Tempo di lettura: 6 minuti

  • prugne, Afrologist

La stagione delle prugne, Patrice Nganang, 66thand2nd, 2018, traduzione dal francese di Marco Lapenna.

Patrice Nganang ne La stagione delle prugne indaga il colonialismo francese, il posto della storia nella letteratura, l’amore e l’eros in tempo di guerra, trasformando la dolorosa materia storica del Camerun in un romanzo che entra di diritto nel pantheon della grande letteratura dell’Africa francofona e non solo. Sebbene le vicende narrate coprano l’arco temporale 1940-1943 con il racconto degli avvenimenti occorsi sul fronte africano durante la Seconda Guerra Mondiale, il romanzo si apre con un avvertimento:  

«Questa storia non comincia nel 1939. Per noi Camerunensi […] il 1939 è solo una data sulla facciata della Posta Centrale.»

E con un ricordo:

«Scrivendo questa storia mi tornano in mente quei passanti che in bocca si fanno sciogliere la prugna e poi gettano il nocciolo per terra; la noncuranza di una città (Yaoundé) che mangia le sue prugne come per costruirsi nello stomaco gli edifici che mancano alle strade; la violenza inutile di chiudere le prugne nei giornali strappati che provano ad aprirsi sul mondo ma le cui storie finiscono calpestate sul marciapiede.»

Una violenza inutile consumata in una «terra che ha gettato i suoi figli, i cosiddetti fucilieri senegalesi, sulle vie del deserto» come noccioli sputati dal ventre del mondo, inghiottiti dal vomito della Storia.

Parigi, occupata dai nazisti, è caduta. È il 14 giugno 1940 e i francesi trattano la resa. Quattro giorni dopo, Charles de Gaulle lancia un appello da Londra affinché la fiamma della Resistenza francese continui ad ardere. La guerra, malgrado un armistizio che sa di asservimento, non è persa «perché la Francia non è sola, c’è un vasto Impero dietro di lei».

Nel pieno della stagione delle prugne, gli echi e le notizie frammentarie della guerra irrompono nella vita quotidiana degli abitanti di Yaoundé, di Douala e del piccolo villaggio di Edéa. Pouka, scrivano-interprete per i Francesi a Yaoundé, nonché figlio del geomante M’bangue che nell’estate del 1940 profetizza il suicidio di Hitler, vuole creare un cenacolo poetico insegnando i versi di Rimbaud e Verlaine. In viaggio da Ongola, quartiere centrale di Yaoundé, fa ritorno ad Edéa dove incontra gli amici d’infanzia Um Nyobè e Fritz, insieme al cugino Hebga, il pugile-taglialegna figlio della Sita, la “Madre del Mercato”.

Pouka fa visita a Mininga, donna risoluta e proprietaria di un bar-osteria che, secondo i pettegolezzi correnti, serve solo come copertura al bordello che lei stessa gestirebbe. Ha poi l’intuizione di eleggere lo stesso bar a sede della sua Arcadia letteraria selezionando gli aspiranti poeti tra i banconi dell’austero locale. Alle audizioni alla corte di Pouka si presentano: Bilong – fratello di Ngo Bikai, moglie di Um Nyobè, innamorato della wolowos Nguet che lavora nel bar di Mininga -, il falso cantore Aloga, ed un giovane balbuziente, custode di un oscuro segreto, ribattezzato Philotée.

L’arrivo di Leclerc in Camerun

Mentre le audizioni proseguono, François Leclerc giunge a Douala a bordo di una piroga. È un maggiore dell’esercito passato tra le fila di de Gaulle e di lì a poco si autoproclamerà governatore del Camerun, Paese che il generale-presidente nelle sue Mémoires de guerre definirà «anello debole e cardine dell’Impero francese in Africa Centrale, il suo braccio ed il suo tallone d’Achille.»

L’arrivo di Leclerc è il segno di un’accelerazione e di un’estensione geopolitica del conflitto: si aprono il fronte africano della guerra ed il fronte domestico, interno al Camerun, diviso tra francesi e britannici dopo “l’esperienza” del protettorato tedesco. Il Paese è attraversato da malcontenti e malcelata sofferenza nei confronti del giogo coloniale francese fatto di acculturazioni forzate e corvées obbligatorie. 

Il bar di Mininga, appendice erotica del campo militare di Edéa voluto da Leclerc, in breve tempo si trasforma nell’ufficio reclute per la chiamata alle armi degli uomini camerunensi. 

Poeti al fronte

La seconda parte del romanzo insegue le vicende al fronte degli apprendisti poeti divenuti soldati. La guerra cambia la geografia delle relazioni spaziali ed umane dei “volontari” provenienti dalle colonie francesi in Africa:

«uomini che avevano lasciato amanti, mogli, madri e sorelle per andare a morire su strade di cui non avevano mai sentito parlare. A centinaia, a migliaia avevano abbandonato i cortili e le famiglie […] per diventare ciò che non avrebbero mai pensato di essere – carne da cannone.»

Il deserto del Tibesti, Cufra, e Murzuk disegnano le tappe del calvario di morte che il conflitto riserva ai tirailleurs sénégalais. Tra le dune del Sahara appare subito chiaro che

«i cadaveri della guerra avranno per buona parte la pelle nera. Leclerc ha avuto la sua vittoria contro i fascisti ma […] resta il bilancio razzista delle battaglie.»

Eppure c’è qualcosa di ancora più sinistro e brutale in questa guerra. I fascisti sono italiani che hanno sacrificato gli ascari affinché questi ultimi combattano al posto loro. E allora Aloga capisce che

«questa guerra è un massacro tra africani […]. Lo sconcerta il rosso del fez degli ascari italiani: non è troppo diverso dalla shahìa, il berretto dei fucilieri senegalesi […]. Il disagio si fa più acuto quando rivolta il cadavere di quello che crede un fuciliere, per scoprire che invece è un ascaro. Ha la pelle scura, le guance scarnificate come un sudanese o un ciadiano.»

Patrice Nganang, David Diop nel suo “Fratelli d’anima” e ancora prima Ousmane Sembène col film “Camp de Thiaroye“, ciascuno col suo stile ed il suo personale bagaglio di memorie personali e collettive, hanno polverizzato il mito francese dell’universalità dei valori di “libertà, uguaglianza e fratellanza”.

Nelle pagine finali del romanzo, Um Nyobè dirà a Pouka:

«Una volta colonizzati, non c’è più modo di liberarsi dell’Occidente. Sta qui il nostro dilemma. L’Occidente ci ha occupato il futuro. È diventato il nostro paradiso. E proprio la Francia, tra i paesi occidentali, rappresenta ancora ideali che valgono la pena.»

In questa riflessione amara sta tutta la complessità dell’eredità politica e psicologica della relazione colonialista e razzista tra la Francia (l’Europa) ed il Camerun (l’Africa).✎

Incipit

prugne, Afrologist

«A Yaoundé, la stagione delle prugne tira fuori il cuore del paese. Dacryodes edulis, la «prugna» dei Camerunensi, chiazza di rosso la chioma dell’albero del safu. Scende per le strade a mazzetti di cinque o dieci, riempie i sacchi del mercato alimentare, si adagia sulla brace ai crocicchi, si accoppia delicatamente al platano o al mais arrostito, di cui è la compagna ideale. In un sacchetto di quelli del cemento o in un cartoccio di fogli di giornale, si vende a tre pezzi per cento franchi, e guardatevi bene dal tirare sul prezzo se non volete beccarvi una lavata di capo. A volte a fine giornata viene gettato per terra. Così, semplicemente, un mucchietto di immondizia in pasto alle mosche. La schiacciano le ruote delle macchine o si attacca alle suole scivolose delle scarpe. La vita della prugna è breve, e basta una spruzzata di sole perché sia matura al punto giusto.»

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