L’arte di arrangiarsi e reagire a Città del Capo

Il Reattivo ✏ Masande Ntshanga

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CATEGORIE: Libreria  / Narrativa  / Romanzo

Tempo di lettura: 5 minuti

  • Masande Ntshanga, Afrologist

Il Reattivo, Masande Ntshanga, Pidgin Edizioni, 2017, traduzione dall’inglese di Stefano Pirone.

Nel 2014 Umuzi, costola editoriale della Penguin Random House South Africa, specializzata in narrativa sudafricana nelle lingue inglese ed afrikaans, pubblica il romanzo d’esordio di Masande Ntshanga, The Reactive.

Il Reattivo: the hottest novel of the year

Celebrato dalla critica sudafricana come “the hottest novel of the year”, il romanzo riscuote un successo pressoché mondiale. La Two Dollar Radio, casa editrice indipendente di Columbus, Ohio, pubblica The Reactive negli Stati Uniti acquisendo i diritti anche per un’eventuale trasposizione cinematografica. La londinese Jacaranda Books cura la pubblicazione per il Regno Unito. Nell’Europa continentale, l’edizione italiana vede la luce grazie all’intuito dei cuori e dei cervelli che animano uno degli indie publisher nostrani più agguerriti, la napoletana Pidgin, ed anticipa di un anno quella tedesca presente nella collana AfrikAWunderhorn della casa editrice Verlag Das Wunderhorn di Heidelberg.

Masande Ntshanga arriva al suo debutto letterario da romanziere già con un importante premio sulla scrivania: è il vincitore del Pen International New Voices (2013) col racconto Space, lo stesso con cui entrerà nella cinquina dei finalisti dell’edizione 2015 del Caine Prize for African Writing assegnato alla zambiana Namwali Serpell per il racconto The Sack.

Il Reattivo è nel 2015 tra i libri selezionati per l’assegnazione dell’Etisalat Prize for Literature, vinto dal congolese Fiston Mwanza Mujila col romanzo Tram 83, pubblicato in Italia col titolo omonimo da Nottetempo. Nello stesso anno compare nella lista dei libri scelti per il Sunday Times Barry Rounge Fiction Prize assegnato a Damon Galgut per la sua Estate Artica, pubblicata da E/O nel 2014. Figura tra i migliori libri del 2016 per Men’s Journal, Flavorwire, City Press, The Sunday Times, The Star, This is Africa, Africa’s Country e Sunday WorldNel 2018 il romanzo vale a Masande Ntshanga il Betty Trask Award, premio riconosciuto a scrittori al di sotto dei trentacinque anni esordienti e residenti in uno dei Paesi che fanno o facevano parte del Commonwealth. 

Le ragioni del successo

Il Reattivo è un romanzo delicatamente viscerale e complesso. Le prime pagine fanno i conti col rimorso del protagonista, Lindanathi detto Nathi, che si autoaccusa di complicità nell’assassinio del fratello minore Luthando e col doloroso allontanamento dalla famiglia d’origine sancito da una misteriosa promessa fatta ad uno zio rovinato dall’alcol nella township di Du Noon. Eppure Lindanathi ci avverte:

«Questa non è una storia che parla di me e di mio fratello […] Voglio raccontarvi cosa mi è successo a Città del Capo, dopo che Luthando trovò la morte. Lì è dove studiai e tentai di fare qualcosa di me stesso.»

Nathi si trova a Newlands, sobborgo di Città del Capo a maggioranza bianca, quando legge un messaggio dello zio mentre sconta i postumi di una pesante sbornia e nell’appartamento che condivide con gli amici Cecelia e Ruan si diffonde l’olezzo della colla che cuoce sui fornelli. Ci confessa che mancano tre mesi alla sua morte e di essere «uno dei quaranta milioni di esseri umani attualmente infetti dal virus d’immunodeficienza.»

Insieme a Cecelia e Ruan, vende pillole alle persone che hanno contratto il virus e che decidono di affidarsi alla loro farmacia in franchising. I tre si sono conosciuti durante «una sessione di consulenza terapeutica su HIV e droga che sbocciavano in tutta la città» agli inizi degli Anni Duemila quando nel Sudafrica post-apartheid si inizia a fare i conti con la “Big Thing” – l’impennata del tasso di contagio e la condizione esistenziale delle persone affette.

Seguono descrizioni molto intense sugli incontri che si svolgono nelle varie cliniche disseminate nella provincia di Western Cape. C’è Neil: bianco, eroinomane, ex insegnante di matematica in una gated community che impreca contro gli stranieri:

«Come molti tossicodipendenti, Neil ha una scusa per ogni volta che sente la sua vita spaccarsi. Oggi desidera una deportazione di massa per tutti gli immigrati illegali a Città del Capo. Dovremmo iniziare dai nigeriani, ci dice, e poi passare ai somali.»

C’è Olive: madre single, dimentica spesso il nome del figlio e sente di essere «una donna che non merita altro che disprezzo.»

Nathi ci consegna una riflessione autentica e dolorosa:

«La terapia non ti accompagna a casa dopo che hai messo a posto le sedie. Raccontare troppo di sé può lasciarti con la sensazione di essere rotto dentro come se la tua testa fosse soggiogata e offerta alla cerchia dei presenti perché la saccheggino.»

Qualche spunto sull’arte di arrangiarsi emotivamente

Non ci si dilunga sulla trama se il racconto che se ne fa svela troppo e rompe l’incantesimo di una magistrale costruzione narrativa, grazie alla quale l’infanzia di due bambini neri – in casa di un bambino bianco e razzista – si mescola alla satira sulle complesse eredità politiche dei “padri” di alcune nazioni africane. Si colora della descrizione di vagabondaggi erotici ed alcolici tra fumi di qat e sniffate di diluente per vernice. S’insinua tra le tre parabole raccontate dall’uomo con la maschera. E si scioglie infine con il disvelamento finale di una promessa in fondo mantenuta.

Uno fra i tanti punti forti di questo romanzo è il taglio filosofico. Le verità scomode che Masande Ntshanga affida a Lindanathi sono universali. È vero che tutti 

«siamo studenti part-time dello sviluppo emotivo degli altri.»

Talvolta ci mettiamo alla prova 

«saltando su un cumulo di pietre appuntite.»

Talvolta cerchiamo

«un angolo che possiamo lasciare libero dalla benevolenza senza alcuna breccia nella coscienza, per le volte in cui dovremo ferirci l’un l’altro per risparmiare noi stessi.»

Reagire, forse, vuol dire anche questo.✎

Incipit

Masande Ntshanga, Afrologist

«Dieci anni fa aiutai un manipolo di uomini a prendere la vita del mio fratello minore. Non ero lì quando successe ma fui i a dire a Luthando dove trovarli. Precedentemente, in quello stesso anno, mio fratello ed io avevamo fatto un patto per combinare le nostre cerimonie di iniziazione.
Tutto ciò risale al 1993.
LT allora aveva soltanto diciassette anni. Aveva spalle ampie ma era considerato uno smidollato alle superiori Ngangelizwe. Mio fratello era attraenti in un modo bizzarro che non lo aiutò mai in nessun modo e, come me, era spesso chiamato ibhari, nullità, dai ragazzi più grandi del quartiere.»

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