Magia e spiritismo come metafore del potere in Mozambico

Il settimo giuramento ✏ Paulina Chiziane

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CATEGORIE: Narrativa  / Romanzo

Tempo di lettura: 6 minuti

  • Mozambico, Afrologist

Il settimo giuramento, Paulina Chiziane, La Nuova Frontiera, 2003, traduzione dal portoghese di Silvia Cavalieri e Giorgio de Marchis, introduzione di Dacia Maraini.

Dopo Nigeria campione del mondo di Suleiman Cassamo (Edizioni Spartaco, 2006) voliamo nuovamente in Mozambico con Il settimo giuramento di Paulina Chiziane.

L’autrice ci delizia con un romanzo “alchemico”. Il magismo tradizionale del culto degli antenati e la filosofia esoterica dei guaritori si fondono con la modernità di un Mozambico affamato di corruzione, potere, sesso. 

L’incipit del romanzo è una pennellata di cruda nostalgia per un sogno spezzato: “l’illusione di un domani migliore” si è dissolta nel miraggio della democrazia post-indipendenza. Sullo sfondo di un conflitto armato tutto interno al Mozambico si combatte un’altra guerra, silenziosa e assassina, tra le mura di una casa ricca e confortevole.

Romanzo famigliare

David da Costa Almeida, un tempo militante rivoluzionario che sognava la “vittoria finale sul colonialismo”, viene quasi travolto dallo sciopero degli operai che lavorano nella fabbrica di cui è il direttore commerciale. Non percepiscono lo stipendio da mesi. Del resto David ha dirottato su conti esteri e nelle casse di bordelli di lusso i fondi destinati alle paghe dei lavoratori mentre dispensava regalìe e assegni alla segretaria Cláudia, sua amante. Vera è, invece, la moglie ufficiale. Clemente e Suzy sono i loro figli.

Il ménage domestico, più che dalle scappatelle di David, è reso complicato dalle allucinazioni e dagli incubi che tormentano i sogni di Clemente. La sua realtà onirica è popolata da streghe volanti su scope di paglia, mostri marini. Nelle notti di pioggia in sonno appaiono Dumezulu, il serpente del cielo, e Xango, il dio della guerra e della morte.

Vera raccoglie le confidenze del figlio. Attribuisce le visioni di quest’ultimo ai giochi di una mente eccitata dai film dell’orrore ma è atterrita dall’idea che sulla sua famiglia possa calare l’ombra della stregoneria. Ignora, per il momento, le trame oscure che il marito David è sul punto di tessere con le potenze dell’occulto. Soltanto Nonna Iñes trova parole di conforto per il giovane Clemente al quale racconta storie di reincarnazione e di guerrieri venuti dal fondo del mare. 

«Tu sei il promesso, colui che salderà i debiti degli antenati. Il tuo sorriso d’acqua spegnerà il fuoco in tutte le anime. Tu sei Mungoni, il promesso.»

La profezia di Nonna Iñes anticipa al nipote il destino di uno scontro apocalittico che sfalderà le fondamenta su cui poggiano la solidità e la ricchezza della famiglia. David, intanto, svuotate svariate bottiglie di whisky, confida all’amico Lourenço i timori legati al futuro della fabbrica. Lourenço mescola discorsi sibillini a immagini deliranti. Sostiene che la fortuna e la malasorte giocano col destino degli uomini potenti mentre gli spiriti degli antenati decretano il successo o l’insuccesso della stirpe.

Ubriachi si congedano e David fa tappa nel bordello di zia Lúcia che gli “offre” l’adolescente Mimi. Lo stupro di Mimi, la vergine prostituita, rivela la disponibilità di David a varcare i confini del lecito e dell’illecito senza eccessivi dilemmi morali. Il denaro smacchia la coscienza e il direttore, nell’allungare mazzette di banconote, chiede a zia Lúcia di portare Mimi da un parrucchiere perché

«le faccia sparire quei capelli crespi da negra»

e di riservarla esclusivamente per il suo piacere.

Abbandonato il bordello, David rientra al lavoro e deve scottarsi con le parole di fuoco di un’operaia lasciata per mesi senza paga.

«Sei nero. Rappresentavi per noi la generazione di schiavi che si è liberata […] Quando viaggiavi all’estero, pregavamo per te perché eri la nostra presenza nella storia del mondo. Eri la cultura che abbiamo sempre sognato di avere ma che la storia ci ha negato.»

Le accuse di negligenza ed egoismo, cui si aggiunge il timore di finire in prigione spogliato dei beni materiali e del prestigio, lo scaraventano sull’orlo di una crisi di nervi. A quel punto gli strambi discorsi di Lourenço sembrano tornargli improvvisamente utili, convinto che la “magia nera” sia l’unica strada percorribile per “riscattare la sua ombra perduta”. 

Comincia allora un viaggio iniziatico, la cui guida è proprio Lourenço, che lo condurrà a spiare il suo futuro ora tra le pieghe del ventre grasso dell’indovino Nguanisse, ora nelle parole sconnesse di una sacerdotessa fattucchiera. Il direttore balla con lei una danza mistica mentre il sangue di un montone sacrificato li investe a fiotti. Nei giorni della rivoluzione aveva impartito l’ordine di bruciare le capanne sacre, i bauli che custodivano i feticci dei guaritori e le zucche contenenti gli unguenti per i rituali. Adesso è lì, in trance, incollato al corpo di una fattucchiera.

«È nelle mani di Erzulia, dea dai mille mariti […] in presenza di Oshum. È con Esu […] il più potente degli dei dell’Africa.»

La protezione magica contro una rovinosa caduta professionale assicuratagli dal responso di un indovino lanciatore di conchiglie dura poco. È tempo di un nuovo e più pericoloso rituale. 

Lourenço introduce David ai misteri di Makhulu Mamba, leader del terrore nel pantheon mitico tsonga. David fatica a credere che Makhulu Mamba si sia materializzato proprio davanti ai suoi occhi. Votarsi alle forze dell’oscurità per scongiurare la disfatta è ancora l’unica alternativa che gli rimane. Makhulu Mamba farfuglia di un giuramento e di prove da superare. Anche Vera, dopo aver scoperto uno strano altare nel retro del giardino e raccolto le sconvolgenti rivelazioni della suocera, intraprende un viaggio con Clemente alla ricerca di un indovino che sappia sciogliere il mistero degli incubi del figlio.

Madre e figlio consultano un guaritore nguni che li indirizza verso la dimora silvestre di Moya, la donna-spirito. Clemente matura il convincimento di voler affrontare il viaggio iniziatico che lo trasformerà in uno nyanga. Lascia l’abitazione familiare, sparisce per un anno, vivendo tra montagne e villaggi rurali. Al suo ritorno si consuma la battaglia finale che lo vedrà opporsi al padre e alle forze oscure che hanno tenuto David a galla mentre si rincorrevano le voci di un’inchiesta che avrebbe scoperchiato tutti i suoi misfatti alla fabbrica.

Magico tropicale

Paulina Chiziane scrive una fiaba “dark” a partire dai miti bantu e da una duplice tragedia: quella del Mozambico e quella, più sotterranea, della “condizione femminile” in un paese in guerra e in una società patriarcale. Gli uomini, e la loro ossessione per il potere, sono i grandi sconfitti di questo romanzo, a tratti fiabesco, a tratti “mozambicanamente” epico.

Le descrizioni dell’universo magico ed esoterico dei popoli bantu che abitano le regioni meridionali del Paese non hanno nulla di folclorico né strizzano l’occhiolino alla smania di esotizzazione dei lettori occidentali. Servono, piuttosto, da tela sulla quale la Chiziane affresca una storia che sembra viaggiare tra epoche e mondi paralleli. C’è spazio per le “digressioni” sulle lotte operaie, sul tradimento degli ideali della rivoluzione e della promessa di fedeltà coniugale, e per le narrazioni su grotte fatate, pietre-amuleto e ossi che servono a predire il futuro.

La Chiziane si affida ai racconti orali nelle lingue chope e ronga per scrivere una “fiaba”, allo stesso tempo, antica e moderna, che diventa metafora dei vizi universali dell’uomo e della fatica, a qualsiasi latitudine, di essere donne.✎

Incipit

Mozambico, Afrologist

«L’illusione di un domani migliore è appassita da tanto tempo, per questo lo msaho si è chiuso a Zavala. Ovunque regna la forza delle armi e lo scempio delle armi. È evaporata l’acqua che rinfresca i destini dell’umanità, tutto è fuoco. Donna e uomo, forte e debole, fuoco e acqua sfilano in cerchio come le stagioni dell’anno. Muore uno e arriva l’altro, senza che mai camminino uniti verso l’armonia della natura. Le parole fame, guerra, sciopero, fuga, massacro, rapina, disgrazia, costituiscono oggi i discorsi della maggior parte della gente. I passi degli uomini non sono più cortei sereni, ma marce di protesta.»

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