Un mondo in continuo divenire
Neyla e Imbarazzismi ✏ Kossi Komla-Ebri
Neyla. Un incontro, due mondi, Kossi Komla-Ebri, Edizioni dell’Arco, 2002.
Imbarazzismi. Quotidiani imbarazzi in bianco e nero, Kossi Komla-Ebri, Edizioni dell’Arco – Marna, 2002.
Estate inoltrata. Anche nei libri può essere estate, non ci avevo mai fatto caso. Neyla, primo romanzo di Kossi Komla-Ebri, medico togolese in Italia dagli anni ’70, è proprio una storia estiva. Breve e intensa quanto l’estate, con la caducità dei petali di fiore.
Yawo, il protagonista e narratore, torna dall’Europa in Togo per le vacanze dopo ben cinque anni di assenza da casa. Rivede la sua famiglia stretta ed allargata in città, visita il villaggio di origine, rivive quella quotidianità che una volta era anche la sua. Porta regali, immancabile rituale che tutti gli emigrati conoscono fin troppo bene, asseconda zie desiderose di accasarlo, e si gode le cure materne di cui aveva patito ardentemente la mancanza.
Quasi per caso, nell’ufficio del fratello incontra Neyla, giovane avvenente e dai modi parigini un poco ostentati, e ovviamente se ne innamora. Un colpo di fulmine in piena regola, con tutti i cliché, la dolcezza e la passione degli amori estivi. L’intero romanzo è scritto in forma di monologo in cui il protagonista stesso si rivolge a Neyla dandole del tu, come se volesse ricordarle ogni dettaglio della loro storia.
Neyla però, ci suggerisce il suo autore, non è una storia d’amore. O meglio, al lettore è richiesto di andare oltre l’espediente della trama. Ciò che interessa veramente a Kossi Komla-Ebri è il contesto sottostante, come ben esplicita Remo Cacciatori nella Postfazione:
«Se da una parte, quindi, Neyla è una figura realistica, appassionata e struggente, dall’altra, come ci suggerisce l’autore stesso in un suo commento al termine della narrazione, essa è l’allegoria dell’Africa stessa. […] Ma sotto Neyla, personaggio complesso e variegato, c’è di più. Essa infatti non simbolizza soltanto la riconciliazione con la propria terra, ma è anche figura dell’accettazione della propria terra cambiata.»
La storia è intrisa di tanti elementi, frutto dell’esperienza personale dello scrittore e non solo. Tutti coloro che vivono da emigrati possono identificarsi nei rituali, nelle aspettative, nell’entusiasmo e nello spaesamento del protagonista. Il romanzo ribalta per una volta lo sguardo raccontando cosa succede in quel mese di vacanza a casa.
Uno dei punti più interessanti è proprio la costruzione dell’Io tra due mondi che cambiano nel tempo e ciascuno dei quali, in tempi e modalità diverse, plasma l’Io stesso. L’aspettativa inconscia di ogni emigrato è che la propria terra natia rimanga congelata dal momento in cui la si è lasciata, che sia immune ad ogni cambiamento, e crede quindi di ritrovarla uguale in tutto e per tutto. Non solo le persone sono cresciute invece, ma anche i luoghi sono diversi. Allo stesso tempo, nel periodo all’estero, il protagonista è cambiato a contatto con una nuova realtà e persone diverse. Anche lo Yawo che ritorna non è quindi lo stesso che è partito. Le emozioni discordano ed è necessario un riadattamento su più versanti.
Il romanzo racconta le difficoltà del ritorno a casa e di ritrovarsi con quella che l’autore definisce un'”identità ibrida”, non più “totalmente africana” ma “neanche europea”. In più occasioni, dal momento di disagio nei saluti per il consueto terzo bacio sulle labbra alle critiche sull’assenza di un buon sistema fognario, il protagonista prende coscienza di quanto si sia trasformato diventando più “bianco” di quel che potesse immaginare.
Neyla è l’anello di congiunzione tra questi mondi: donna locale che si destreggia al mercato e tra le vie della città, ma anche interprete di quella realtà mutata per Yawo, e portatrice lei stessa di alcuni elementi occidentali come l’accento parigino. Proprio ciò che ci voleva per riconciliarsi con la sua terra natia e con se stesso.
«Grazie, Neyla, per avermi ricongiunto a me stesso, alla mia gente e alla mia infanzia. Grazie, per aver saputo risvegliare ricordi e sensazioni che nell’arsura della lontananza si erano assopiti, in letargo, da qualche parte dentro di me, perché per sopravvivere, per non soccombere alla nostalgia, avevo dovuto murarmi dentro ricordi, sentimenti, annullare le mie radici per impregnarmi totalmente nella mia nuova situazione. Ho sempre dovuto lasciare qualche cosa o qualcuno per inseguire il mio destino ed ero arrivato al punto di non sapere più chi fossi. Non ero né di qua né di là. Preso in quella morsa sandwich di due culture, stavo diventando generazione ibrida, non essendo più né africano totalmente e neanche europeo. Ho vissuto per anni in quella fitta nebbia fra il non più e il non ancora, sulla strada vischiosa e incerta di un divenire.»
In Neyla, Kossi Komla-Ebri lascia da parte l’umorismo che lo contraddistingue, quello sagace e pungente di Imbarazzismi. Quotidiani imbarazzi in bianco e nero (Edizioni dell’Arco, 2002), fine libricino che in trenta scenari tragicomici – gli “Imba-razzismi” – , ci riporta dal Togo all’Italia. Di seguito trovate il 15°, “La voce dell’innocenza”, che in pochissime righe strappa un sorriso, regala la dolcezza del mondo visto attraverso gli occhi di un bambino e mostra i limiti che l’autore abbatte a suon di ironia.
Usciti nello stesso anno, Neyla e Imbarazzismi, non sembrano invecchiati di un giorno. Il primo conferma la capacità dell’autore di leggere la realtà in divenire, il secondo rivela invece tristemente quanto possano essere lenti i cambiamenti quando parliamo di razzismo. Due letture molto diverse, entrambe brevi e piacevoli che vi consigliamo sia che siate a casa, in montagna o sotto l’ombrellone.
Per scoprire qualcosa in più su Kossi Komla-Ebri, approfondite su Words4Link e sul suo nuovo sito. Buona lettura!✎
Incipit
«Era estate e io partivo dall’Europa, per le vacanze. Erano cinque anni che non tornavo più a casa e, come tutte le volte, mi chiedevo come avrei fatto a riadattarmi ai cambiamenti, come mi sarei trovato con i miei fratellini che ormai erano cresciuti.»
La voce dell’innocenza
«Quando mia moglie ed io fummo invitati ad una trasmissione televisiva sulla coppia mista, mio figlio di nove anni mi chiese:
“Papà, ma perché devono fare una trasmissione sulla coppia mista? Cosa vuol dire una coppia mista?”
Risposi:
“Vedi che papà è nero e la mamma è bianca: noi formiamo una coppia mista. Siccome per la gente è una cosa nuova, vogliono che ne parliamo.”
Dopo averci pensato un po’, mi guardò e disse:
“Boh, per me, una coppia mista… è un uomo che sposa… un robot.”»
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