Un‘immagine dell’Africa

An Image of Africa: Racism in Conrad’s Heart of Darkness ✏ Chinua Achebe

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CATEGORIE: Libreria  / Saggistica

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  • Africa, Afrologist

L’Africa non è un Paese. Banalità del giorno esaurita! Banalità non troppo banale in realtà, dato che più o meno tre volte al giorno mi imbatto in rete in articoli, post e video nei quali l'”Africa” è dipinta come un tutt’uno, un’informe e non ben definita unità che nulla ha a che vedere con il panafricanismo, ma bensì più con l’immagine del continente cristallizzatasi nei secoli.

Nel famoso pezzo Come scrivere d’Africa, Binyavanga Wainaina già sviscerava ed elencava come in una lista per la spesa tutte le “buone” prassi per chi si accinge a scrivere appunto di “Africa”.

«Nel titolo, usate sempre le parole “Africa”, “nero”, “safari”. Nel sottotitolo, inserite termini come “Zanzibar”, “masai”, “zulu”, “zambesi”, “Congo”, “Nilo”, “grande”, “cielo”, “ombra”, “tamburi”, “sole” o “antico passato”. Altre parole utili sono “guerriglia”, “senza tempo”, “primordiale” e “tribale”.»

Progetti di comunicazione per il sociale e la raccolta fondi, come il video Let’s save Africa! – Gone wrong della ONG norvegese SAIH, hanno sagacemente ripreso gli stessi concetti nei settori della cooperazione allo sviluppo e dell’emergenza umanitaria, a suon di “Azvegnaaaa” e grilli a sottolineare il vuoto e l’imbarazzo lasciati da stereotipi grossolani che «feriscono la dignità» delle persone. Per quanto scelte come quella di Comic Relief di non inviare più celebrità in Africa (ma non era già stato detto nel 2018 dopo il video con Ed Sheeran?) a perpetrare il mito del “bianco salvatore” siano lodevoli, occorre secondo me approfondire un po’ di più l’origine e le implicazioni profonde dell’immaginario cui si fa riferimento.

In ricordo del compleanno di Chinua Achebe

Per ricordare il compleanno di Chinua Achebe (16 novembre 1930 – 21 marzo 2013), celebrato da Brittle Paper con la #ChinuaAchebeWeek, quale modo migliore se non rileggere An Image of Africa: Racism in Conrad’s Heart of Darkness? Il saggio, trascrizione di una lezione di Achebe tenuta il 18 Febbraio 1975 all’Università del Massachusetts, analizza una delle più conosciute rappresentazioni letterarie dell'”Africa” declinata come misteriosa “terra primordiale”: la novella Cuore di tenebra (1899) di Joseph Conrad, considerata tra le migliori opere di letteratura inglese degli ultimi due secoli e ispiratrice a sua volta di altre celebri opere, come il film Apocalypse now (1979) di Francis Ford Coppola.

Scovai questo libricino in una libreria a Lusaka un paio di anni fa, edito da Penguin Books (2010) e contenente il suddetto saggio insieme ad un secondo dal titolo The Trouble with Nigeria. Non essendo disponibile in lingua italiana, provo a ripercorrere alcuni passaggi salienti di An Image of Africa.

Il professor Achebe inizia il suo racconto in una giornata autunnale come questa, quando viene abbordato da un altro insegnante all’università sulla via del parcheggio. Alla rivelazione della sua materia di insegnamento, letteratura africana, il secondo non potè che rimarcare il proprio stupore del fatto che l’Africa «avesse questo tipo di cose». Emerge qui come nella comune concezione, anche di una persona “istruita”, l’Africa stenti ad avere storia, arte, letteratura e “quel tipo di cose”. Sintomo de

«il desiderio – uno potrebbe infatti dire il bisogno – della psicologia occidentale di posizionare l’Africa come complementare all’Europa, come un luogo di negazione allo stesso tempo remoto e vagamente familiare, a confronto del quale lo stato di grazia spirituale proprio dell’Europa sarebbe manifesto.»

Cuore di tenebra appunto viene analizzato in quanto esemplare artistico che non ha certo inventato l’immaginario in sé, ma piuttosto ha trasposto e perpetrato lo stesso desiderio e bisogno di un’Africa come antitesi dell’Europa, “un altro mondo”, e perciò privo di quelle qualità considerate proprie del vecchio continente come “civiltà”, “intelligenza”, “cultura” e così via. Il tranquillo e pacifico Tamigi all’inizio del racconto viene contrapposto così al fiume Congo; il semplice atto di risalire il fiume Congo viene indicato da Conrad come “viaggiare indietro fino all’inizio del mondo”.

Ciò che turba Cornard, prosegue Achebe, non è tanto il contrasto tra i due fiumi, e i due mondi, quanto la loro parentela e affinità [“kinship“]: per il narratore Marlow ritornare quindi all’oscurità primordiale del Congo, un’oscurità ormai sconfitta e rischiarata attraverso la civilizzazione in Europa, significherebbe correre il rischio di sentire “l’eco della propria oscurità dimenticata” e caderne vittima, impazzire. Ovvero ciò che si presume sia accaduto al commerciante d’avorio, Kurtz. Gli aggettivi ricorrenti per creare l’atmosfera di mistero e primordialità sono di volta in volta “imperscrutabile”, “silenzioso”, “indicibile”, “misterioso”, “frenetico” ecc., a richiamare i concetti di incomprensibile e inesprimibile, una scelta che secondo Achebe non è puramente stilistica, ma studiata e deliberata.

Allo stesso modo, le persone vengono descritte come uomini “preistorici”, “pazzi”, “selvaggi”, “rumorosi”, “cannibali”, e l’idea stessa che fossero anch’essi umani “della notte dei tempi” e quindi affini, connessi al “noi” europei è esplicitamente etichettata come orrenda e preoccupante [“ugly“]. Le lingue locali vengono ridotte a suoni e grugniti incomprensibili, perché non era certo possibile che tali uomini “preistorici” avessero lingue. E così, anche quando brevissime frasi in inglese escono dalla bocca dei nativi – ad esempio quando esplicitano la loro volontà di mangiare qualcuno – non sono altro che uno strumento per l’autore per rafforzarne l’immagine di voraci cannibali, non di certo una loro elevazione.

Cuore di tenebra è un’opera razzista, e Joseph Conrad era profondamente razzista: questa è la tesi di Chinua Achebe. E in quanto tale, l’opera non può essere più considerata tra le migliori della letteratura inglese, ignorandone del tutto questi aspetti.

Le controargomentazioni

Achebe prosegue analizzando alcune controargomentazioni poste da studiosi di Conrad. Prima fra tutte la possibilità che questo punto di vista appartenga al narratore di finzione, Marlow, e non a Conrad che al contrario potrebbe aver scelto di utilizzarlo con ironia a fine critico. Achebe scarta questa possibilità, dato che se così fosse, Conrad avrebbe segnalato in qualche modo una cornice alternativa di intepretazione, cosa che non avviene mai nella narrazione. Al contrario, sostiene, Marlow sembra mostrare i tratti di quella tolleranza tipica della tradizione liberale inglese di cui Conrad è esponente. L’africano è sì umano, non è infatti un nemico nè un criminale, ma è “primitivo” – o come direbbe il missionario Albert Schweitzer, è sì un mio fratello, ma un “fratello minore” -, e quindi non proprio eguale. Conrad, dice Achebe, non usa mai la parola “fratello”, non si spinge così in là, ma al massimo accenna ad una familiarità, ad una parentela.

La seconda controargomentazione che Achebe affronta, riguarda l’ipotesi dell’Africa come puro set della disintegrazione della mente di Kurtz, in quanto il vero interesse dell’autore sarebbe stato quello di mostrare il deterioramento di una mente europea a causa della solitudine e della malattia. L’idea dell’Africa, del Congo, come semplici ambientazioni per la rottura di un essere umano però, eliminerebbero il fattore umano legato al continente e perciò non farebbero altro che perpetuare la depersonalizzazione e disumanizzazione dell’Africa e dei suoi abitanti. Argomentazione che non cambia affatto, ma rafforza, la constatazione che Cuore di tenebra sia un’opera intrinsecamente razzista, così come il suo autore.

La novella e l’attitudine di Conrad andrebbero però lette all’interno del loro tempo, la fine ‘800: ecco la terza e ultima controargomentazione. Secondo Achebe, anche questa difesa cade nel momento in cui si analizza nel lessico utilizzato una certa ossessione per l’uso del termine “nero” per descrivere i corpi e della parola “negro” anche in altre sue opere; un’ossessione che maschera probabilmente un astio e antipatia dell’autore verso i neri. Guardando a colleghi artisti europei del suo tempo che proprio prendendo ispirazione da luoghi e arte considerata “primitiva” – Gauguin a Tahiti, Picasso e Matisse dalla visione di una maschera fang comprata per Maurice Vlaminck a inizio ‘900 e che segnò l’inizio del cubismo -, Achebe rifiuta l’idea che Cuore di tenebra debba essere liquidata come semplice opera figlia del proprio tempo. Certamente, continua Achebe:

«Conrad non originò l’immagine dell’Africa che troviamo nel suo libro. Era ed è l’immagine dominante dell’Africa nell’immaginazione occidentale e Conrad portò semplicemente i doni peculiari della sua mente ad influenzarla. Per ragioni che possono certamente essere oggetto di indagine della psicologia, l’Occidente sembra soffrire di una profonda ansia riguardo alla precarietà della sua civilizzazione e del bisogno di una costante riassicurazione dal confronto con l’Africa.»

L’Africa, continua Achebe, sarebbe per l’Europa ciò che il ritratto è per Dorian Gray, ovvero un luogo dove egli «scarica le sue deformità fisiche e morali per poter procedere, eretto e immacolato». Non è sufficiente che l’Occidente e gli occidentali inizino a guardare all’Africa come ad un continente fatto di persone, e non certo “arretrate” o “primitive”, lasciandosi alle spalle i pregiudizi e stereotipi sopraelencati. La pervasività e la tenacia con le quali questi sono stati e sono tramandati, dice Achebe, non lasciano spazio ad un facile ottimismo.

Pur denunciando l’imperialismo europeo in Africa, Conrad non era “stranamente” cosciente del profondo razzismo di cui era portatore con la sua opera. Così noi, a distanza di 45 anni dalla pubblicazione di questo saggio, in Italia, spesso non ci rendiamo conto di quanto sia pervasivo lo stesso immaginario che magari a parole rigettiamo esplicitamente, forti del nostro antirazzismo. Achebe fornisce nella conclusione la chiave di volta per permetterci di riconoscerlo anche là dove non ci sembra di vederlo: ascoltare coloro che sono vittime da secoli di questo razzismo e trattamento inumano, coloro che lo «hanno sempre saputo meglio di qualsiasi visitatore occasionale, anche quando arriva carico dei doni di un Conrad». E allora noi, attraverso Afrologist, scegliamo di leggerne le opere e ascoltiamo.

[Le traduzioni in italiano nelle citazioni sono mie]

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