Viaggio nella sconfinata immaginazione di Nnedi Okorafor

Chi teme la morte e Binti ✏ Nnedi Okorafor

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CATEGORIE: Libreria  / Narrativa  / Novella  / Racconti  / Romanzo

Tempo di lettura: 7 minuti

  • Nnedi Okorafor, Afrologist

Chi teme la morte. La profezia di Onye, Nnedi Okorafor, Gargoyle, 2015, traduzione dall’inglese di Benedetta Tavani.

Binti, Nnedi Okorafor, Mondadori, 2019, traduzione dall’inglese di Benedetta Tavani.
[L’edizione include i romanzi brevi Binti, Ritorno a casa, La maschera della notte e il racconto Il fuoco sacro.]

Da quando ho letto e recensito Laguna (Zona 42), la prolifica Naijamerican Nnedi Okorafor è diventata una delle scrittrici che più seguo su Twitter. Come rapita nella sua immaginazione, ho quindi letto due opere, le uniche altre disponibili in italiano, grazie alle traduzioni di Benedetta Tavani: Chi teme la morte. La profezia di Onye (Gargoyle) e la raccolta Binti (Oscar Fantastica – Mondadori) che include la trilogia di romanzi brevi Binti, Ritorno a casa, La maschera della notte e il racconto Il fuoco sacro.

Chi teme la morte è stato vincitore del World Fantasy Award 2011 come miglior romanzo, mentre la prima opera su Binti è stata vincitrice dei premi Hugo Award 2016 come miglior novella e Nebula Award 2015 per la medesima categoria. Da artista e docente di scrittura creativa, la Okorafor si distingue per essere un’abile autrice per adulti, giovani adulti e bambini; in italiano però, si trovano solo queste tre opere per adulti.

Anche se entrambi i testi rientrano nell’universo africanfuturistico (si ricordi la definizione dell’autrice stessa di Africanfuturismo distinto dall’Afrofuturismo), ritraendo grintose donne e giovani ragazze africane del futuro, è altresì importante sottolinearne la differenza di fondo: mentre Chi teme la morte è un romanzo fantasy distopico ambientato in un’Africa post-apocalittica, Binti è una galassia di opere puramente fantascientifiche. Le stesse cosmogonie, religioni e popolazioni esistenti richiamate appartengono ad aree geografiche del continente diverse: il primo ispirato al contesto del Sudan contemporaneo e il secondo con personaggi Himba, popolazione semi-nomade della Namibia e dell’Angola. Minimo comun denominatore: la sconfinata immaginazione della Okorafor.

«Okeke significa “coloro che sono stati creati”. Gli Okeke hanno la pelle del colore della notte perché furono creati prima del giorno, e dunque nacquero per primi. Più tardi, dopo lo svolgersi di numerosi eventi, arrivarono i Nuru. Discesero dalle stelle ed è per questo che la loro pelle è del colore del sole

Chi teme la morte, e in particolare la sua protagonista Onyesonwu “Onye” Ubaid, ha preso vita dalla lettura di We want to male a light baby di Emily Wax (Washington Post, 2004), articolo sugli stupri in Sudan utilizzati come arma di guerra e pulizia etnica.

Nello scenario post-apocalittico del romanzo infatti, gli Okeke dalla pelle “del colore della notte” sono nati per essere schiavi dei Nuru dalla pelle “del colore del sole”, secondo il Grande Libro. Per assoggettare gli Okeke, i Nuru cercano di espandersi nel deserto trucidando gli Okeke liberi e stuprando le donne così da generare figli Ewu, letteralmente “nati dal dolore”, dalla carnagione tanto chiara da sembrare “spiriti del deserto”. Onye, la protagonista, è una Ewu destinata ad essere più di una semplice ragazzina.

Allevata i primi anni dalla madre Najeeba nel deserto, ha imparato a cantare “ascoltando il vento”, per poi crescere nel villaggio di Jwahir, dove gli Okeke sono ancora liberi. Onye scopre presto di essere una Eshu, una mutaforma in grado di trasformarsi in passero e in avvoltoio, e di poter accedere al mondo degli spiriti. Ed è proprio qui, nella “regione ignota”, che incontra il padre biologico a capo dei Nuru il quale, riconoscendola come figlia femmina, deluso, tenta di ucciderla. Onye, smaniosa di imparare i Grandi Punti Mistici, tenta in tutti i modi di diventare l’apprendista dello stregone Aro, scontrandosi con pregiudizi sessisti. Poi, decide di partire per affrontare il padre e fermare la carneficina degli Okeke, riportando così la pace. L’accompagneranno nel viaggio le amiche d’iniziazione, Luyu, Diti e Binta, e i due ragazzi Fanasi e Mwita, quest’ultimo suo compagno, anch’egli Ewu ed apprendista stregone.

Mescolando credenze religiose e cosmologie esistenti nel continente africano con altrettante immaginarie, Chi teme la morte si inscrive nella sottocategoria fantasy che la Okorafor definisce Africanjujuism.

«Ero la prima Himba della storia a meritare l’onore dell’ammissione. I messaggi di odio, le minacce alla mia vita, l’irrisione e le prese in giro da parte dei Khoush della mia città mi facevano venire voglia di nascondermi ancora di più. Ma nel profondo, io volevo emergere… ne avevo bisogno.
Non avevo potuto fare a meno di assecondare il mio desiderio. L’istinto era stato così forte da diventare matematico. Le volte in cui sedevo da sola nel deserto, ascoltando il vento, vedevo e percepivo i numeri così come avveniva nel negozio di mio padre, quando ero assorta nel lavoro. E quelle cifre andavano ad aggiungersi alla somma del mio destino.»

L’universo fantascientifico di Binti, invece, spalanca le porte all’intera galassia partendo dal deserto di Namib fino a sconfinare oltre il Sistema Solare, dove ha sede la prestigiosa Oomza University, sull’omonimo pianeta. Binti Ekeopara Zuzu Dambu Kaipka, giovane himba, dopo essersi distinta negli esami planetari di matematica, viene ammessa all’università più innovativa della Via Lattea, è la prima della sua etnia ad avere l’onore. Sfidando le usanze del suo popolo che raramente lascia la Terra, si imbarca di nascosto sull’astronave Terzo Pesce – un gigantesco essere vivente imparentato con i gamberetti, richiamo nel mio immaginario alla nave aliena di Ultima genesi di Octavia E. Butler -, insieme agli altri futuri studenti, tutti appartenenti all’etnia maggioritaria Khoush.

Lungo il viaggio, la nave finisce sotto attacco da parte delle Meduse e Binti risulterà essere l’unica superstite umana. Solo le sue capacità di armonizzatrice che sfrutta la matematica per creare armonia, insieme all’edan, un cubo stellato da lei trovato nel deserto e raffigurante frattali, spirali e cerchi azzurri di apparente origine divina, riescono a salvarla dal sanguinoso attacco. Conosce la giovane medusa Okwu con cui condividerà molto più del semplice percorso accademico e inizia la sua personale crociata per porre fine alla guerra fra Meduse e Khoush.

Tra astrolabi, ramificazioni e correnti matematiche, pietra arenaria ed elettricità, Binti è circondata dall’innovazione, fortemente endemica nella cultura himba, e allo stesso tempo è immersa in un mondo di tradizioni tecnologiche e cosmogonie antichissime, come quelle degli Enyi Zinariya, il Popolo del Deserto al quale appartiene la nonna paterna. È quasi impossibile non innamorarsi di questa giovane intelligente, decisamente nerd, ostinata e combattuta. Le lunghe treccine spesse che ricopre accuratamente di polvere rossa, l’otjize, simbolo della sua terra, diventeranno il punto di raccordo con le Meduse, introducendola ad un’esistenza fuori dall’ordinario, al confine fra umano e alieno.

«Ero una confluenza di mondi. Che cos’era “casa”? Dov’era “casa”?»

La liminalità delle protagoniste di Chi teme la morte e Binti è, a mio parere, il tratto distintivo delle due storie e il vero motivo per cui ho scelto di parlarne nello stesso pezzo. Onye e Binti, emarginate e ripudiate, incarnano con i loro corpi in costante evoluzione l’anello di congiunzione fra mondi e parti belligeranti. Restare sulla soglia può essere doloroso: se, solitamente, è una transizione temporanea, per le due protagoniste è la condizione esistenziale ed è ciò che le rende ambasciatrici di pace, unica speranza di un confronto e uno scambio fra le parti. Lo spazio-deserto e la simbologia dedicata ai riti di iniziazione in entrambe le opere rafforzano in questo senso l’immaginario del confine, del liminale, conferendo peculiarità allo stile di una Okorafor che stupisce trattando di temi universali in modo molto personale.

Piccola curiosità: Binti è dedicato ad una medusa azzurra vista nuotare dalla scrittrice nella laguna di Khalid, a Sharja, negli Emirati Arabi Uniti.

La trilogia su Binti è attualmente in fase di adattamento come serie televisiva per il network Hulu, mentre Chi teme la morte con HBO. Non tarderemo perciò a vedere questi mondi sul grande schermo; chissà che non sia l’inizio di un “Okorafor Cinematic Universe”!✎

Incipit

Nnedi Okorafor, Afrologist

«La mia vita andò in pezzi quando compii sedici anni. Mio padre morì. Aveva un cuore talmente forte, eppure morì. Per colpa del calore e delle esalazioni della sua fucina? Vero è che nulla poteva distrarlo dal suo lavoro, la sua arte. Adorava piegare il metallo al suo volere, fare in modo che gli obbedisse. Ma il lavoro sembrava soltanto rafforzarlo; era così felice nella sua bottega. Quindi, che cosa lo uccise? A oggi, non ne sono ancora sicura. Spero non abbia nulla a che fare con me o con ciò che facevo a quel tempo.»

Nnedi Okorafor, Afrologist

«Accesi il trasportatore e recitai una preghiera silenziosa. Non sapevo cosa avrei fatto se non avesse funzionato. Era scadente e persino una goccia d’umidità, o più probabilmente un granello di sabbia, l’avrebbe mandato in corto. Era difettoso e quasi sempre dovevo riavviarlo più volte per farlo partire. Ti prego, non ora, ti prego, non ora, pensai.»

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Nnedi Okorafor, Afrologist© Afrologist
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