Vivere è raccontare
La vita senza fard ✏ Maryse Condé
La vita senza fard, Maryse Condé, La Tartaruga, 2019, traduzione dal francese di Anna D’Elia.
«La passione non procede per analisi, non fa la morale. Brucia, incendia e consuma», come il racconto della vita di Maryse Condé che prende forma nel suo ultimo libro autobiografico La vita senza fard.
Raccontare di sé è un istinto, una inevitabile necessità per scrittrici come Maryse, originaria delle isole della Guadalupa, ma che ha vissuto gran parte della sua vita spostandosi e vivendo in Francia, Stati Uniti, Costa D’Avorio, Guinea e Ghana, questi ultimi paesi al centro della narrazione de La Vita senza fard.
Spinta da una urgente ricerca della sua identità, Maryse inizia il suo racconto con il primo capitolo intitolato Meglio mal maritata che zitella e ci racconta delle vicissitudini che ha affrontato nel gestire la prima gravidanza in completa solitudine. A Parigi conobbe l’haitiano Jean Dominique e nelle pagine ricorda il dolore con il quale, dopo aver scoperto di essere incinta, venne lasciata da Jean:
«Io rimasi sola a Parigi, senza riuscire a credere che un uomo avesse potuto abbandonarmi con quella pancia. Era una cosa impensabile. Rifiutavo di accettare l’unica possibile spiegazione: il colore della mia pelle. Essendo mulatta, Jean Dominique mi aveva trattata con il disprezzo e l’incoscienza di chi si erge a casta privilegiata. […] Riuscì a sopportare con difficoltà i lunghi mesi di quella gravidanza solitaria. Un medico della Mutua studentesca che mi aveva trovato depressa e denutrita, mi spedì in una casa di riposo dell’Oise dove tutti mi circondarono di attenzioni che non ho mai dimenticato. Per la prima volta scoprivo la compassione degli estranei. Finalmente, il 13 marzo 1956 […] partorii un bambino che chiamai Denis.»
Ma il racconto di Maryse, sebbene inizi con una iniziale “perdita d’amore”, diverrà un racconto di conquista di una Donna-Madre, Donna-Insegnante, Donna-Moglie, che con coraggio sceglie di partire per Abidjan, capitale della Costa d’Avorio, alla ricerca del suo vero Io e della sua libertà.
Nonostante le poche agiatezze materiali e le peripezie di salute e d’amore, Maryse riuscì a continuare, prima di partire per la Costa d’Avorio, gli studi in Lettere Moderne a Parigi. In seguito venne assunta come assistente di didattica francese di quarto livello in Costa d’Avorio, su decisione delle alte cariche ministeriali francesi.
Da qui il racconto, diviene un viaggio verso una nuova vita e nuovi luoghi che cambieranno per sempre le consapevolezze di Maryse:
«e tuttavia la Costa d’Avorio, il primo paese africano cui mi sono avvicinata, ha lasciato dentro di me immagini indelebili. Non dimenticherò mai lo stupore che provai nel penetrare la cattedrale barocca della foresta mentre mi recavo a Bingerville; la profonda emozione che suscitarono in me i resti del passato coloniale a Grand Bassam; l’ammirazione di fronte alla bellezza delle donne, alle loro acconciature, al loro modo di vestire e coprirsi di gioielli.»
Nonostante le difficoltà che affrontò, in Costa d’Avorio, Maryse diede vita anche ad una seconda figlia, Sylvie-Anne, nata dall’incontro con il suo secondo amore; ma la vita di una donna-madre-insegnante come lei divenne complicata all’insorgere dei mutamenti politico-sociali dell’epoca. Il libro è scandito infatti dagli avvenimenti storici che hanno attraversato i Paesi in cui Maryse si trovò a vivere e lavorare.
Alcuni grandi eventi politici come l’ascesa del socialismo africano, l’avvento del regime di Sékou Touré in Guinea dagli anni ’50 in poi, delle idee di Kwame Nkrumah, politico ghanese e fautore di idee rivoluzionarie, sono raccontate e vissute in prima persona da Maryse ed ella stessa decide di parlarne con coraggio raccogliendo pensieri e riflessioni poi raccolte nei capitoli Il complotto degli insegnanti e Frantz Fanon revisited.
Il racconto de La vita senza fard è un tentativo originale di narrare di sé. Maryse ci riesce benissimo, riuscendo a mantenere viva l’attenzione del lettore anche nei momenti più bui.
Narrare per vocazione: Maryse Condé come Doris Lessing
La capacità di raccontare eventi di vita intensa e di trasmettere immagini, suoni e parole è un’abilità di chi cerca nella scrittura una vocazione, un bisogno che va oltre la semplice necessità di vendere un libro.
Ecco che infatti, la stessa qualità di narrare l’abbiamo ritrovata in grandi scrittrici come Doris Lessing, che racconta i ricordi della sua terra natale: la Rhodesia del Sud, attuale Zimbabwe. Il rapporto con questa terra nella quale è vissuta a lungo, è raccontato nel libro Sorriso Africano. Quattro visite nello Zimbabwe (Feltrinelli, 1999), dove la Lessing ripercorre il ritorno in Rhodesia del Sud dopo un esilio durato 25 anni e, come per Maryse Condé, anche per Doris Lessing, rimane centrale la ricerca dell’identità. Nella prossima recensione di Sorriso Africano approfondiremo questa tematica.
Attraverso la scrittura, Maryse Condé e Doris Lessing ci aprono ad un incontro e ad una narrazione autobiografica dei Paesi in cui hanno vissuto. La scrittura come necessità dell’animo, si rivela nelle parole di Maryse che cerca di dare un senso al suo sentire:
«Avrei tanto voluto dare a quei momenti una forma di vita che il tempo non potesse distruggere. Ma come riuscirci? Non lo sapevo. Quella fu, credo, la prima volta che ebbi la tentazione di scrivere. Non capii, però, che erano proprio quelle impressioni, quelle sensazioni che bisognava cercare di trasporre sulla carta. La mia rimase dunque un’esperienza inspiegabile e quasi mistica.»
Scrivere per ricordare, scrivere per dimenticare, scrivere per la necessità di raccontare restano le metafore preferite da Maryse che alla fine dopo aver cercato tanto l’Africa, aver desiderato l’incontro con questa terra, i suoi profumi e le sue genti, ne dipingerà le immagini sulla tela delle sue narrazioni.
Fra le altre opere, il contesto africano ha ispirato l’opera di Ségou, suddivisa in due volumi, Le muraglie di terra (Edizioni Lavoro, 2003) e La terra in briciole (Edizioni Lavoro, 1994), in cui Maryse narra il destino di una famiglia che segue alla fine dell’antico regno africano bambara di Segù.✎
Incipit
«La passione per la scrittura è scesa su di me quasi a mia insaputa. Non starei qui a paragonarla a una disgrazia di origine misteriosa, visto che mi ha procurato le più grandi gioie. L’apparenterei piuttosto a un’urgenza, un po’ spaventosa, certo, di cui non ho mai saputo discernere le cause. Non dimentichiamo che sono nata in un paese che, all’epoca, non aveva né un museo né un vero e proprio teatro, e dove gli unici scrittori da noi frequentati appartenevano a manuali scolastici di un lontano Altrove.»
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